Pensare al calcio suscita spesso una certa dose di invidia per tutto il giro di denaro che interessa i giocatori. Un sentimento di certo poco piacevole, che nasconde un fondo di verità da un lato, ma che ignora un altro importante aspetto della vita dei calciatori, dall’altro. Per quanto possano essere strapagati, infatti, i giocatori non vivono soltanto una vita di lusso e passione: spesso le cause di stress e le pressioni sono così tante e continue, da lasciar intendere che anche per loro non sia tutto rose e fiori. Quanto giocano i calciatori? Nei momenti di punta, il ritmo degli incontri calcistici si fa sempre più serrato. I tifosi stessi possono alle volte sentirsi storditi dalla quantità di partite previste per alcune particolari fasi della stagione. La situazione è ovviamente ancora più pressante per i giocatori, che si ritrovano alle volte divisi tra trasferte, incontri in casa, campionato e partite di Champions, senza considerare amichevoli e altri impegni supplementari, tra allenamenti e molto altro. In breve, il calendario calcistico delle squadre più in vista è fitto, troppo fitto per dei giocatori che, andando oltre la maglia e il club, il numero di gadget e di pagine a loro dedicati, sono pur sempre umani. In quanto tali, si stancano, sono soggetti a delusioni, a crampi e infortuni, a cali di performance e a tutti quegli eventi che troverebbero spazio sulle quote di Loyalbet.it, se soltanto fosse possibile quantificarli con esattezza per stilare i pronostici di un incontro. Invece, l’unica cosa certa è che a fine stagione molte squadre non reggono il ritmo, perché i giocatori sono allo stremo e, per loro, arrivare al 90° minuto di fila sul campo diventa un’utopia. Il bisogno di un approccio diverso Con una media di 60 partite a stagione per i team più grandi, è chiaro: il ritmo degli incontri è troppo serrato, e non ci sono ritorni economici e di intrattenimento che tengano. È necessario avere ben chiara l’impronta ormai decisamente finanziaria che sta assumendo il calcio contemporaneo. Tra diritti televisivi, gadget e investimenti da parte di sponsor sempre più assetati di visibilità, si finisce qui per perdere di vista l’elemento umano. E questo, come si sa, è fallibile, specialmente se corpo e mente sono messi costantemente sotto pressione. Se si desidera vedere la questione sotto il profilo dell’intrattenimento, anche quest’ultimo risulta compromesso. Si potrebbe sintetizzare con l’iconica immagine del cane che si morde la coda, in un circolo vizioso in cui il desiderio di appagare il pubblico con il numero più alto possibile di partite si traduce in un’esibizione di giocatori stanchi, forse anche disinteressati nei confronti del risultato. Sperare che questo soddisfi i tifosi è poco lungimirante, e probabilmente serve soltanto a nascondere quella crisi che sta vivendo tutt’ora il calcio italiano. Ma è opinione di chi scrive che non si possa risolvere o aggirare il problema riempendo – o tentando di riempire – gli stadi ogni giorno della stagione calcistica in corso. Cosa nascondono i numeri? La media di 60 partite a stagione, con 5 giorni di riposo tra un incontro e l’altro, è una semplice utopia per numerosi calciatori. La realtà che il sindacato FIFPro si trova a fronteggiare è quella di uno slittamento verso i 70 incontri a stagione. Il tutto, a discapito delle 2 settimane di riposo continuato che dovrebbero essere garantite ai calciatori nel periodo invernale, e del periodo dai 28 ai 42 giorni di recupero estivo. Il 75% degli incontri è invece calendarizzato senza rispettare questi periodi di riposo, che spesso sono ridotti ad appena 3 giorni, anche nel caso delle trasferte lunghe. Il carico è evidente: la pressione psicologica aumenta, così come quella sul corpo, che va più facilmente incontro a infortuni, oggi estremamente frequenti sul campo di calcio.

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